Tullio Gardini

 


 

"ANTOLOGIA DEI POETI DI STUDI E RICERCHE" - Edizioni di "Studi e Ricerche", Milano  1969

Tullio Gardini - Libro di Poesie

 

 

Una notte di fieno


Accorata mi desta
malinconia dei tuoi segni:
mi sveglia
un vortice
di silenzio.

Spera in una notte
di fieno, agli alberi
aride conchiglie
il mondo
e la mia testa
sono finite.

Forse mi piange
uno schiaffo di luce:

amore,
nella tempesta
di qualche notte
ci saranno anche per noi
gli usignoli.


[1966]

 

 

*

Nè se la pioggia fosse solo d'aria
e le preghiere degli alberi
un triste coro di silenzio,
il cielo spento
senza voce, quasi notte
o principio di pace

avrei di te - come ora - distacco immenso
legato a ricordi smarriti,
alla tua bocca che ho perso
per la via.


[1966]

 
 

**


Con me sulla soglia
dell'alba
scolpire nuvole d'acciaio,
con me sul tramonto
piangere il grano di un giorno.

Ora, una notte,
l'immenso puro
delle tue pupille,
un giorno
senza odore di nostalgia.

Poi secoli sui fianchi:
la polvere delle membra
non chiama sudori
per tutti gli uccisi momenti.

E noi sulla piccola fronte
dell'acqua
morta agli ulivi,
là un mare di cielo
sugli alberi disegno del mondo.


[1966]

 

 

***


Navighi nel vento
nelle sere d'estate
quando calma
sparisce
la luce.

Fiori gridano
un fondo di pena
negli occhi
che non sanno colori
quando alle brezze delle conchiglie
suoni locuste
tra i rami
e il verde dei fiumi.

Sulle labbra di terra
è spento ogni rumore.


[1967]

 

 

****


Non era al mare
il ricordo della tua voce:

posso spegnere la pioggia
nella forma di una sera lontana,
tutti i pesci
morti sulle fronde d'estate,
e gli occhi delle lanterne,
le figure cadute
senza un cielo di cornice,
le sagome morte nel silenzio,
la linea scura di un letto
e l'alba
col profumo atroce del tuo distacco.

Mi giungi lontana come la sera
e non voglio soffrire
tutte le ore della stessa morte,
e un bambino ride
guardandomi contro quel muro.


[1967]
 

 
 

*****

Tutto mi dipinge una parete
che so di troppa gioia:
non voglio ricordare i tuoi baci
come già lontani,
i tuoi capelli
che perdevo tra l'erba
e gli occhi aperti
a una storia di pianto consumato.
In me non è che angoscia
di sospiri,
e l'ansia forte
di averti nella mano,
e le tue membra
che tanto erano a me
consacrate nel pensiero.
Forse di te mi perdòno
timore di averti lontana,
la terra mi è troppo nemica
e i giorni
si chiudono al tramonto.


[1967]


 


Forse in un attimo


................................
................................
Pregare pallido di un bimbo
sul verde terrazzo dei pini,
forse il fiume è una voce
per nascere
alghe di un letto
quando perdo nel vento
il sonno di una locusta.

E non ho il pianto
di nessuno
per il mio sole
nè i cani trovano morte
e le lucciole il loro perimetro.

Ho perduto le ore nel mondo
tutta la forza
nel silenzio dei rami:
forse il tuo cuore
è ancora nella memoria,
lo canta una voce
un segno chiaro degli occhi.


[1967]

 
 

Amarti


Amarti è forse un gioco
perderti a volte
a volte ritrovarti;
e poi semprer più vera,
come le stelle, abbandonarmi
all'ombra delle tue parole.

Amarti non è un gioco:
perderti è un po' come finire di sognare,
a volte ti ritrovo
fugace come il battito di un'ala
che quasi smorza il vento
e cade sopra il mare,
fuggito gabbiano fra le onde
è il volo che m'innalza sui tuoi occhi.

Non so di un gioco
nè di onde,
ma il vento più non guida,
a me, profumi delle tue membra
consumate negli anni:

amarti è stato un sogno,
una tombola spenta, una follia.


[1968]

 

 

Non ditemi più domani


Vivere in te, per i tuoi occhi
nel segno atteso della tua voce;
la morte
è poi tormento ogni sua ora
lontano
dalle dune del tuo corpo.
Un giorno - quando nacqui
era il mio sogno,
anche per te - hanno detto - c'è l'aurora,
ho perso la speranza
di vivere guardando quel momento.
Per te è una preghiera
di non piangere: 
non so il tuo male
in me non è ancor morto.
E resta forse ancora
un gelo troppo opaco nelle vene,
ancora non mi perde 
l'abitudine
di pensare con occhi da usignolo.
La terra in me,
questo è il mio giorno amato,
mi scopro credere sventure
bruciato nelle foglie del silenzio.


[1968]


 

 

 

 

TECNICISMO E ARMONIA NEI VERSI DI TULLIO GARDINI

di Alfredo Maria Bonanno

 

La difficoltà critica di arrivare al fondo della struttura del contesto poetico di Gardini deve mantenersi costantemente separata dall'immediata intuizione d'una armonia descrittiva di rara potenza. Prima di tutto per non guastare il contatto diretto della lettura, ricco di una intensità di effetti e contenuti, vivo e operante nel rapporto lettore-poeta. Poi per limitare le disposizioni del simbolo, continuamente minacciato, nella sua azione rappresentativa, dalla gratuità del rapporto sintattico.

La poesia di Gardini richiama alla mente ampi aspetti del mondo contorto e luminoso di Joyce, librata a mezz'aria con quella caratteristica tecnica traspositiva della realtà e con la conseguente eliminazione del rapporto spazio-tempo, il contatto avviene ad intermittenza, ora dischiuso da una fiduciosa apertura alle cose e ai sentimenti, ora vincolato da un tenace rifiuto della gratuità del simbolo. Joyce è vicino per l'aspetto tecnico, al limite tra simbolismo e tematica psicanalista, senza per questo presentare alcuni pericoli che, nel grande scrittore inglese vengono mimetizzati dalla grandezza e dalla novità dell'opera, ma che ripresentati oggi, nella pienezza della loro carnosa insolvenza, potrebbero causare seri danni ad un poeta. Ecco perchè più frequente ci ricorre alla mente Joyce della Gente di Dublino piuttosto che Joyce dell'Ulisse o della Veglia di Finnegan.

Comunque è il rifiuto della necessitante "coscienza dei dettagli" che governa l'armonia strutturale in Gardini. Joyce, o qualsiasi altro poeta che sia uscito dai limiti della tradizione, Pound, Eliot, Romains, Lewis, Manning, come pure Vildrac, Rimbaud, Corbière, Teihade, Gourmont, si possono rinvenire come spunti involontari, come parallelismo di intenti, come compresenza di temi. E' questo che tutela dall'alto Gardini, che lo rende un poeta "difficile", che parla in favore dell'abbandono di un assurdo ossequio alla quantità del metro. La composizione deve avvenire secondo il sentimento del rapporto narrativo, secondo la cadenza musicale di un rapporto essenzialmente libero da problemi tecnici inerenti alla lunghezza di una vocale o al numero di consonanti che cadono tra una vocale e la seguente.

Non bisognerebbe dimenticare tanto facilmente che il verso libero è pur sempre il verso di Euripide.

La fede nella comunicazione viene progressivamente abbandonata da Gardini sulle parole non dette, sui silenzi, sulle attese non mantenute, sul pallore degli sfondi o sull'assenza completa dei moti esterni della natura e delle sue mitiche figurazioni. Gardini raggruppa i sogni interrotti dalla perfezione assoluta, del sole caldo capace di schiudere la vogliosa natura, della nebbia costante e testarda; ma non può giungere oltre il limite eterno del tempo, dove l'amore giudica e assolve, senza fretta, con calma. Questo tema costituisce l'estremo punto del viaggio poetico di Gardini. Egli non può vivere l'azione se non come termine lontano di raffronto senza possibilità d'ingerenza nella vicenda poetica. Una specie di annoso nume, pieno di misteriose risonanze, ma trattenuto nel "moto del cuore" più che portato sulle labbra dall'attiva corrente delle parole.

Dalla necessaria attenzione alla tecnica si passa alla presenzialità dei temi. Gigantesco il valore emblematico dell'amore, ritmato con una continuità assordante, penetrante in tutte le composizioni, ripresentato via via in una dimensione più umama e, nello stesso tempo, più che umana.

"E' quasi ormai l'inverno
sui nostri occhi,
una lunga sera
di silenzio
e ancora non abbiamo
un altro segno
che ci sia di conforto".

L'inizio del ritmo è lieve, quasi non volesse dare ad intendere l'intima forza propulsiva che nasconde. Ma l'atto riflessivo non può durare a lungo, l'alzata definitiva dell'azione è tipica del poeta di razza.

"Un inverno che passa senza foglie,
nè alberi di cielo:
in te si muta
il grigio della strada,
e noi, quegli anni,
abbiamo stretti insieme".

La vita riappare dopo la stasi transitoria della chiusura al silenzio delle cose, vivace pur non rappresentando che un moto naturale e scontato, piena di speranza pur nell'intima certezza che questa speranza corre continuamente il rischio di venire tradita.

Giustamente Renato Pernice, nella sua "Presentazione" al recente volume di poesie di Gardini (Edizioni "studi e ricerche", Collana di Poesia contemporanea, vol. n. 8) nota: "...il messaggio del Gardini, nato nel contesto stesso del suo racconto (nell'ambito quindi di una poesia scevra da ogni didatticismo); nel restituire all'amore il suo semplice significato originale ce ne schiude tutta l'umanissima verità, liberandolo da ogni ossessiva sovrastruttura, ce lo propone così come noi tutti lo vorremmo". Notevole la puntualizzazione di Pernice che rigetta forse un poco troppo le remore intrinseche di tante composizioni di Gardini, dove all'anticamera spirituale dell'amore è diretto l'interesse specifico del simbolo, poichè ad una immediatezza d'apertura corrispondono più significati tutti parimenti validi. In effetti non bisogna dimenticare che qualche volta il velo pesante della non comunicabilità rischia di gelare il simbolo riducendolo alla stretta sovrastruttura.

" è freddo il mio letto
e i tuoi seni
mi giacciono accanto".

Ma si tratta di impressioni da lettore, forse dispersive, donde si potrebbe tentare una più diretta conoscenza della tecnica simbolica per venire a capo del sottostante, necessario, significato costruttivo. Comunque non ci si potrebbe giurare. In questo l'affermazione di Pernice mi sembra un poco troppo generica. Altrove no. Il senso di questo grande sentimento è vivamente riaffermato, giuocando un ruolo altamente determinante dell'uomo Gardini oltre che del poeta.

"amore amore
dorso di un secolo mi avvolge:
cosparso di rondini
prostrato odore di semi
offusca chiare pupille
un segno,
lontana notizia del tempo".

L'altro grande tema è possibile rinvenirlo nel contrasto durissimo e persistente tra il sentimento e la realtà che lo riveste. L'esteriorità di una vicenda sentimentale può mantenersi fino al limite della conclusiva azione vivificatrice dello spirito, cedendo subito dopo, sperdendosi in un'atmosfera di sogno senza contorni ben definiti, o, comunque, senza contorni validi ai fini della comunicazione. In questo caso si tratta di una esteriorità che si è mantenuta estranea alla vicenda umana puro contorno di oggetti e di luoghi, tutti ugualmente indifferenti all'azione della vita che in essi e con l'ausilio di essi si è potuta svolgere.

Ma l'esteriorità della vicenda può anche eliminarsi dopo il limite della spiritualizzazione, intervenendo nel rapporto, rivestendolo d'una carnosità definita, di una riscontrabilità nello spazio e nel tempo. A rendere possibile ciò concorrono le cose più lievi e più strane. Un  rumore, qualche nota musicale, lo scrosciare di un fiume, lo sbattere di una porta. Non occorrono grandi eventi naturali, certe volte anche le più grandi manifestazioni della natura, le meraviglie di un creato che ha riserve di ricchezze non definitivamente scoperte, possono lasciare indifferenti.

In Gardini l'esteriorità della vicenda lotta lungamente con un contesto naturale estraneo o, nella maggior parte dei casi, difficilmente raccordabile. Penso che ciò dipenda anche dalla particolare necessità di Gardini di risolvere non pochi problemi di indole tecnica, prima di pervenire all'immediata estromissione del rapporto comunicativo. Per cui, quest'ultimo, risulta quasi sterilizzato nelle sue componenti essenziali. Ma si tratta di un limite strenuamente difeso, principalmente da una correttezza di uomo, donde la salda apertura alla sublimazione di un sentimento come l'amore che, di regola, pretende continui rapporti al contesto esterno.

Attraverso questa lente deformante la realtà gli viene incontro. Un tunnel grigio, le siepi, un fascio d'erba, i sentieri della campagna, gli ulivi, le mimose. Tutto un ambiente che cerca disperatamente di servire a determinare un'azione modificatrice della realtà statica, un ambiente che vive solo in funzione di quest'attesa, ma che il poeta tiene con le pinze lontano da una conclusione, proprio per avere la libertà di prospettarsi più conclusioni possibili, più strutturazioni, tutte ugualmente valide, dell'eterno problema umano dell'amore.
 

(da Quaderni di Cultura Contemporanea, Catania 1968)