Tullio Gardini


 

"IL TEMPO DI LOTO" - Liguria, Sabatelli Editore - Collana "Medium Coeli" a cura di Aldo Capasso - Genova 1987

 

 

Tullio Gardini - Libro di Poesie

da "Prima del Tempo" 1968 - 1972

 

II

Mi frantuma il ritorno delle onde,
l'immobile forma delle foglie,
uguale mi sorprende
il peso della terra
e il tempo immoto che non muore.

Poi passerà la sera
a cogliermi al dolore impreparato, 
una calda brezza di fastidio
intorno a sfumati confini del soffrire.

Mi coglierà la morte
prima d'essere sceso al capolinea.

 

 

IV


Mi affianco ad un percorso
consumato, in piena
profondità mi logorano
le tue tristi ore;
non chiedere motivo
a quest'amaro sapore di volerti:
è già rifugio udirti
dietro un filo che ci lega alla voce

E poi non credo al rumore di pioggia
come chiara matrice di parole
(il tuo silenzio
mi regge le spalle, mi sospinge)
chè troppe volte è pena
domandarti un sorriso non rubato.

Al tuo corpo mi reggo,
non altro nutrimento che sbuffo d'aria,
o piangere tranquillo
senza perdere il gioco di un intreccio.

 

 

V

Bene, alcuni (pochi) dicono.
Dicono: i cardini sono scoppiati,
bene; alcuni imbrattati di maschere.

E allora sgusciamo
per vicoli
per saracene contrade in circoscritta
espugnazione:
giù, più giù,
ancora; in viluppo di discesa
(mi pare così essere più forte
calcolato rumore di tamburi)
fradicia battuta-discorso
monologare da cantatrice calva
quando the rest is silence.

Col filo d'arianna sicurezza
inciampo
in strozzature di sagome,
e battere alla porta
(rumore fesso di vetro
o cristallo? o altro?)
può costarmi un gesso di mummia,
brevetto di altoparlanti
per distanziati (non troppo)
poriferi sudori:
per quello che so
è scivolo di protoni in binario
la tua fredda mania
di maltrattarmi.

 

Premio "Aspera" Milano, 1968

 
 

VIII


Per te riservo un destino immoto
ove al mio precario stupore
contrapponi sorriso d'equivoca durezza.
E così sgocciola gli orari degli scacchi
e scandisce il tempo
lo specchio che mi mostra
al tuo non dire le cose.

Perchè capirti è labirinto di un gioco,
e tu semini a dolori a piaceri
regole che non trasmetti,
e mi chino alla tombola viziata
che ti fa regina di partecipanti:
quando perdi
fanciulla ti ritrovo al lamento.

 

 

X


Se poi amassi rivedermi
per capire di te,
mi basterebbe questo per fuggirti.

Chè d'altro non m'importa:
ripassare al tempo stagioni
e conati indecorosi
per giochi di lussuria, e quieti
rosari in gruppo.

Ma a comuni ritorni,
non a specie di lessico svogliato;
a frequenti dispute, valori
che sai (non spieghi e vivi);
a frattura di carne
che odora (ed ami) a luce di candela,
costruisci tela e sabbia
che lasci al dopo
della tua ombra che ti forma addosso.

 

 

da "Il Tempo di Loto" 1973 - 1986

 

XI


Tu che mordi il passato:
è ormai capriccio questo corso
d'ansia che ti riscopre
il vissuto terrore del tuo ieri.

Avanza un sentiero senza calcolo,
ché non ha peso traccia d'agave
d'erba medica o ginestra:

l'orma contorni eterna,
e quel che resta è tuo
senza rimpianto. 

 

 

XV


E poi piacente e quieta
appari nelle fronde del vento,
a sera nascondi capricci
e veglie, e temperi
l'angoscia al mio patire.

So che t'è acerbo peso, e triste
fingerti matura e guida
prendermi alla mano
come al fanciullo si insegna
il conto o la preghiera;
so pur che porti ansia di smarrirti,
che t'opprime il silenzio, e t'impaura
il mio occhio ferito.

Così vivi di me, e all'ombra
nutri coraggio di tacere
la mia fame di sempre,
il tuo conforto che pieno - forse - 
non so mai capire.

 

 

XX


E' quel tuo cavalcare
il silenzio ad inseguire oblio
che mi consente - dopo - il respiro
tranquillo.

E' perchè temi il segno
dei miei occhi impauriti.

Ma il male è dentro,
non so se al cuore o ai sensi riportato,
male d'altri
che s'accresce maturo, e d'improvviso
blocca quel mio sapermi impreparato.

E tu lo bevi, sazia alla nausea,
senza volerlo;
lo avverti nelle mani
- male d'altri che nutro - 
palme che scruti inquieta sudare in pomeriggi di noia.

E' forse anche per questo che io t'amo
e sopporto:
vincolarti al mio corpo
col male atroce, nell'ora di paura,
sino alla notte.

 


XXI


Le cadenze ti giungono costanti
alla tremante soglia del tuo incedere tranquillo.
Mi inarco perchè il peso, ma invano,
ti sia distribuito in parità:
eppure felice sempre mi rammenti
che viviamo la fatica degli altri.

E sul tuo collo poggia tutta la mia inquietudine.

Io pure ridere sapessi
alla paura dell'ombra di candela.
 

 

XXII


Non possiamo accedere a radure
privati del sapore
di miele a primavera.

E' vana sazietà
l'intento di fuggire la sorte:
altre forme, altre forze
annientano
il perenne cammino di cuspidi.

Per altri segni - allora - ci confina
il fragile margine dell'ossa;
all'impotente sguardo, l'universo
è distratto sembiante di natura.

 


XXIII


A raccogliere cocci e polvere
ci chiama l'età trascorsa,
brandelli silenziosi
del sentiero irrisolto,
e i silenzi impervi della sera.

Eppure sereno mi raggiunge il tuo sospiro;
il rimpianto di quello che già fui
senza volerlo;
la mancanza di spazio
ove trovarmi rivolto indietro,
e la pietra ove inciampo di paura.

 

 

XXIV


Scivoliamo il nostro cammino
col marino ventoso che stride
fra l'ombra e i capelli:
pure andiamo senza volerlo,
sorretti di fioca luce.

E il pensiero s'obliqua
in angoli remoti di chiese,
storpiamo immote parole
nel quadrante gelato del tempo.

Ciò che fugge, invano
è rincorso con fiato che trema:
è crepuscolo d'ossa bagnate
l'appello, siamo in risposta
d'inutili versi, e sirene d'ulisse.

 

 


XXV


Sono offerti momenti
al nostro scorrere il cammino
a percorrere stati di gioia,
non indifferenti
alla preghiera della piccola forma
che accanto ci cresce, e rincorre
nell'orma, seguendo
il nostro faticoso ondeggiare.

Piccola forma che consegna la mano,
che sfugge trepida all'occhio
e scruta intorno altre note,
carezzando col dito
bianconeri strumenti di famiglia;
e gli echi della vita
silenziosa assapora,
gaia di tutto.

Piccola forma arrampicata al lume
di una pianta malata:
accogli adagio
quieta
gli imbrogli della vita,
lascia nel gioco
la fatica
di spengere la luce verso sera.

 

 

 

 

 

da GIORGIO BARBERI SQUAROTTI, Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Scienze Letterarie e Filologiche, a TULLIO GARDINI 

 

Torino, 18 febbraio 1988

Caro Gardini,
ho letto con molto vivo piacere e interesse Il tempo di Loto: è un bel libro davvero, per quella limpida capacità di cogliere la verità dei sentimenti che è proprio tipica del Suo discorso poetico e per la sapienza del ritmo e delle immagini. E c'è anche un'intensità di meditazione che dà una straordinaria profondità ai Suoi temi.
Le auguro molti e attenti lettori e le porgo i migliori saluti.

Giorgio Barberi Squarotti
 

(lettera manoscritta su carta intestata "Università degli Studi di Torino")

 

  

 

da MICHELE RANCHETTI, Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Storia, a TULLIO GARDINI

Firenze, 23. 3. 87

Caro Gardini,
La ringrazio di avermi inviato in lettura le sue poesie. Non sono un tecnico, come lei dice, sono solo uno che scrive (ha scritto) poesie. Proprio come Lei, e che non sa se valgono la pena o meno, anche se saranno probabilmente pubblicate. Come Lei, penso che sia importante, per me, e per lei, averle scritte. Le sue, poi, sono sicuramente "piacevoli". Anzi, se posso fare un rilievo, è che la loro piacevolezza certa è un po' in contraddizione con alcuni accenti "amari" e tristi. Talvolta mi paiono meno "necessarie", un po' imitate da altri e soprattutto da una certa poetica dei nostri tempi, dei suoi, in particolare, perchè viene quasi voglia di aggiungere motivi di oggi, canzoni chiare e giovanili.
Per questo, mi sembra insensato porre il problema di un dilemma tra "piacevoli" e "buttare tutto". Se può, le pubblichi, perchè sono davvero bene intonate, e rispecchiano una vena davvero poetica.
La ringrazio ancora, ringrazio ***, che mi è carissimo amico.

        suo

Michele Ranchetti 

(lettera dattiloscritta su carta intestata "Università degli Studi di Firenze", data e firma autografe)

 

 

 

da GIORGIO BARBERI SQUAROTTI, Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Scienze Letterarie e Filologiche, a TULLIO GARDINI

 

Torino, 18 aprile 1986

Caro Gardini,
ho letto con vivissimo interesse la raccolta di poesie che intende pubblicare. A me pare che ora la Sua fisionomia di poeta si sia chiarita in modo preciso e originale. La grazia nella scrittura si accompagna ora a un impegno meditativo e gnomico molto attento e vigile, con risultati di grande verità e forza. C'è, nella raccolta, un'inventività intensa, sapiente, luminosa.
Spero di leggere presto il libro stampato. E le porgo i migliori auguri e saluti.

Giorgio Barberi Squarotti 

(lettera manoscritta su carta intestata "Università degli Studi di Torino")