Tullio Gardini

 

 "CONGEDO"  - Editore Il Melangolo Genova, 2016

 

Tullio Gardini - Congedo  da "Piroli" 1988 - 1998

 


Non desidero cercare altrove. Ho cancellate
ore raccolte fra sassi del giardino
piegate al consumo spicciolo dei giorni,
non più alle parole di ieri
è legato il ritorno, percorso
stregato da scampoli di dubbi
riflessi sull’ombra di un viso:
non so abituarmi all’assente domani.


E così vivo in me il lembo ultimo d’estate
le parole fra noi prestate
sull’avanzo del sogno dai contorni
di battigia, disfo la tresca nel ricordo
perduto, e il vissuto cancello
tra aghi dei pini e il freddo dell’erba
abbrancato al duro silenzio
del dopo, al sicuro tormento
di scolpire (ma quando?)
ciò che da te m’aspettavo, e così ho perduto
l’impazzire dell’ora.


Non rifiuto stanchezza
che ho voluto coltivare
ma non so al tempo
segnare un addio
per labile memoria di preghiera
che non volendo
ho seminato a sera.

 

 

 

III


      Piazza Bandiera


All’ombra nella piazza
tra il campanile e la colonna
del fuggiasco protetto dal Guastàto
sto dolcemente poggiato sullo scalino
di marmo dal tempo consumato
e dalle attese.


Un gioco di silenzio è il raggio
della luce quando offuscato
piega l’ombra d’Anchise
e comprime sulla curva spalla
sicura la certezza d’Enea;
a lato Ascanio – tesa la mano –
in sé ha la forza tutta
che il brivido invano della luce
inutilmente insidia.


È ceppo di pietra danzato
per secoli all’inutile fuoco
della nostra impotenza, non lo so fronteggiare
se un dio con me
per secoli non ha viaggiato
entrambi non sapendo dove andare.

 

 

 V


Albeggia una luce e svapora su onde
raccolgo impaziente conchiglie
per ascoltarne nel cavo il sibilo
che in sordina come un vento chiama.
Piegato sulla riva
bagnata da cadenzata risacca
l’appoggio all’orecchio
e monotono ne avverto il leggero rimbombo
ma l’ascolto
l’osservo e m’attrae
la geometrica forma che vorrei conservare
in memoria d’altri trascorsi richiami
che il breve percorso non dà tempo ascoltare.

 

 

XIII


Bisbigli proverbi consigli
che appena in un fiato percepisco
giunti da un altrove nel frattempo svanito
nel riflusso delle insistenze continue
sono gesto leggero, segno cresciuto
per addolcire un qualcosa
dal tempo sottolineato, prezioso richiamo
che in ore mai dimenticate
ricompare a modellare un volto.

 

 


da "Congedo"  2013 - 2016
 

 

I


Anche se taci ascolto vibrare i diapason
per il muto rimprovero che su te stessa
inchiodi, tempesta di graniglia
che scalfisce l’orecchio
quando esplode sulla cresta
del faticoso interrogarsi, e se svolto lo sguardo
svanisce la traccia graffiata d’acquaragia
per secoli distesa inutilmente,
il punteruolo non lesina alla lamina
il morso, corrode fra vagare dei silenzi
per giungere a sera


così inconsumato il desiderio resta l’interrogarsi
e sembra florilegio di sbeccato flauto.
 

 

 

XII


Homo ludens


Non rido, sono altro animale
non della tua specie e quando dritto cammino
ho vergogna del corpo che non sa raccogliere
il calore di svegliarsi all’alba,
non gioco a far lambire i piedi dal rivo
di pioggia che muto scorre e non mi guarda.
È squassato aforisma non capire
se l’aria si solleva e asciuga
il bagnato delle tempie per farmi esistere
o invece opprime
le branchie del pensiero lasciando
fra le mani incolpevole
il cartiglio con inciso il nulla.
E così si appoggia alla calcina
l’ampelòpsis interrata in un tardo autunno,
s’appoggia e non nutre spavento
per il sole reso fioco dal consumato tempo,
alla fine la sua ombra sarà ingraziata
deposto l’unico grammo di silenzio
sulla panchina ove avrò riposo.
 

 

 

XIII


Felis silvestris catus


Si è offuscato il profilo di sé
che all’angolo obliquo della cucina
la curiosità d’invisibili rumori manteneva vivo,
è uscita sfiorando spigolo di cassapanca
e il vaso gonfio di alpenstöcke, il lieve
smuovere d’aria trascinato
fra vibrisse e ancheggiare della coda.


Non fraterna m’osserva
quando i gialli lumini hanno contorno
di nero pelo
nero per tutto l’essere paziente,
solo al mattino strisce bianche
riflesse; non l’ho chiamata e vende indifferenza
e la pioggia non muta il suo essere in quiete,
ne osserva altera il frantumarsi in noiosità
sulla foglia senza che un fiato
scombini ogni suo umore, decisa a non farsi
risucchiare nelle svenevoli chiacchiere


perché la noia è peso che s’incammina
ben oltre il fastidio del pensare
e la sopportazione dell’ignorata specie
per lei è già morta.

 

 

XVI


Erinaceus europaeus


Continuamente vago dimenandomi
sull’umido fiorito in falde del terreno
da sempre incolto, con sufficienza smuovo
qualcosa e fino a ieri solitaria mi è sfuggita
la melodia di un guizzo intorno alla nascosta tana.


Qualche volta s’affanna il respiro
e spesse volte immobile stesi gli aculei
nero il tartufo sollevato all’aria
ad olfattare preghiera e fame
mi racconto l’acerbo desiderio
del non vivere il principesco incontro,
e così immaginata la parvenza di un elfo
per mia ricerca d’abbraccio quotidiano
sulla spalla che regge il quadrifoglio
saluto il vento, me ne commiato
e m’incammino per la discesa,
fra alcune scelta in mezzo ai rovi
a condurre nel cuore del mio giardino.


E mentre odoro il varco mai scordo
al riparo di tarassachi a graspi
arricchiti dal refolo perenne
che all’alba sciolta la brina
è fuoco
e all’orizzonte pur senza volerlo
potrebbe esser facile osservare dell’erba
il nuovissimo stelo verde.

 

 

XIX


“Hugo” testudo graeca


Arcuate dal peso sulle zampe in equilibrio
quale degli universi sostengo
se qualsiasi invocato lo allontano
bruciando la processione d’incenso
e la scia della fresca lattuga che mi insapora?
Vecchio immortale so d’essere
in tal segno scolpito
a scorrazzare sapienza
ogni giorno ancora sottile non sapendo
quale alba ingraziarmi, frastaglio
l’acuto lampeggiare degli occhi col tremolare
del capo a guardia di un superbo trono celeste
da cui trasmetto fotogrammi seminando ricordi.
A me non è data azione – per l’altra specie
frequente – di un ritiro dall’angoscia sotto lo scudo
ruvido per non voler carezze
e ogni goccia di pioggia m’invidia la flemma
del moto e quel guardarmi in giro
che il carapace mi consente, intento a meditare
trascuratezza del tempo e del giardino.
Non mi culla la perfezione
del mio ininterrotto vagare, non il coraggio
di barattare il silenzio con la prontezza
dell’arresto – non so voltarmi
per l’ignoto ascolto e in questo
sono maestro quando immobile scolpisco
il sermone degli déi.

 

 

XXII


Vorrei non tracimata la scansione
di questo giorno terribile morso
da galaverna, ove afferrata la lanterna
che accompagna i lontani anni
di crescita di tutti gli abeti
implantumati osservo pavoni
lì aver fatto porto e arazzo


ma ancora non ho desiderio
di transitare oltre, in saccoccia s’è sbriciolato
il pedaggio, ancora sequenze
di sere come allora mi sono innanzi
a scandagliare tic tac dell’orologio
scordato sul comodino
quando sei andata via.

 

 

XXV


Non cammini – ondeggi,
leggera cavalchi il bordeggiare d’aria
come polena che schiva di bolina
flutti e schiuma


lasciando libertà – all’incantato
sfrullare dello spolverino fucsia
che t’avvolge – d’essere nuvola
e silenzio.

 

 


 

da GIORGIO BARBERI SQUAROTTI a TULLIO GARDINI  

 

Torino 13 novembre [2016]

 

Caro Gardini,
……”Congedo” è in realtà la bellissima rievocazione di memoria e di vita per il tramite di evocazioni, memorie ritrovate, sapienze di vita fissate in immagini, luoghi, stagioni, custodite passioni del cuore....

 

Giorgio Barberi Squarotti
 

 [lettera dattiloscritta]